Letizia Battaglia, un nome che è tornato prepotentemente alla ribalta, grazie alla splendida fiction “Maltese – Il romanzo del commissario”, dove il personaggio di Elisa Ripstein, interpretato egregiamente da Rike Schmid, era chiaramente ispirato alla grande fotografa siciliana.
Inoltre vi è un’importante mostra “Per pura passione – Letizia Battaglia”, che sta facendo il giro d’Italia, da Roma a Palermo,Pordenone e ora a Messina, con oltre 200 scatti che ripercorrono il grande lavoro documentaristico della Battaglia, considerata solo la fotografa della mafia, quando, nei fatti, ha fotografato oltre 50 anni di storia italiana ed è anche stata, in un cameo, nel film di Wim Wenders, Palermo Shooting.
Di recente Letizia Battaglia è riuscita a ottenere che venisse aperto un centro internazionale di fotografia nella sua città natale, Palermo appunto, il tutto dopo anni e anni di lotte.
Il centro, che sarà diretto dalla stessa Battaglia, è un progetto dedicato allo studio e alla promozione della fotografia e sorgerà nel padiglione 18 dei Cantieri Culturali alla Zisa, recentemente restaurato dal Comune.
Quando finalmente il comune ha dato il benestare la fotografa lo ha annunciato con gioia dal suo profilo Facebook:
“Sono trascorsi cinque anni da quando, con emozione in una assemblea affollatissima, esprimemmo il nostro desiderio che un Centro per la fotografia nascesse a Palermo”, racconta la fotografa sul social network. “Cinque anni sono tanti. Forse troppi. Ma finalmente ce l’abbiamo fatta… Sto preparando un programma, bisogna presentarlo in tempo al Comune affinché a settembre si possa iniziare. Ho ricevuto l’incarico, sono la direttrice del Centro, ovviamente gratis. Felice di esserlo”.
Il suo essere fotografa e donna è stato difficile per Letizia. Come viene detto in un articolo di Foto Come Fare, è molto più facile che vengano in mente fotografi maschi, che donne, anche se la Battaglia è per fortuna considerata una delle migliori.
Il suo amore per la fotografia lo si può evincere per tante cose:
“Il colore banalizza, il bianco e nero ti permette di vedere cose che il colore non rivela. Pensa a un fiore, a colori ti sembra di una stupidità enorme e invece in bianco e nero acquista una sua autonomia, una sua autorevolezza che mi commuove di più”.
Fu per manifestare la sua voglia di indipendenza che iniziò a scattare fotografie, non avendo grandi conoscenze. E proprio continuando a fare foto nacque la passione e la voglia di studiare la materia a fondo.
Incredibile a dirsi quando cominciò seriamente aveva 40 anni e fu un periodo di grandi cambiamenti per il nostro paese, gli anni di piombo, che lei fotografò con sapienza, maestria e passione, lasciando un’impronta davvero indelebile.
Una fotografia cruda e forte ma, purtroppo, maledettamente vera. Suoi sono gli scatti all’hotel Zagarella che testimoniano i rapporti tra i cugini Salvo e Andreotti che poi verranno acquisiti per gli atti del processo.
Alcuni anni fa lasciò Palermo perché si sentiva isolata e visse per qualche tempo a Parigi per poi tornare e una certa amarezza la si sente quando parla dei giovani talenti, poco supportati, qui come in altri campi del resto:
“Ai giovani suggerisco di avere un altro lavoro per mantenersi. Ho visto spegnersi tanti talenti perché oggi non c’è più spazio; le foto non si pagano e non si pubblicano. Bisogna continuare a fotografare, certo, ma bisogna anche mantenersi con dignità”.
Tra i tanti volti fotografati, quelli di Pasolini, Impastato, Gae Aulenti ma anche la palazzina Liberty di Dario Fo e Franca Rame.
Nonostante l’amarezza Letizia Battaglia ha sempre nuovi obiettivi:
“Non ho più voglia di fotografare sciagure, anzi, quelle già fatte le ho rivitalizzate mettendo un “punctum” diverso. Davanti a un uomo che spara, il ventre nudo di una donna che dà vita E fotografo donne bagnate perchè l’acqua pulisce. Sono a un punto di speranza, voglio far crescere la gente. La mediocrità non l’accetto, neppure se consolatoria”
Un bel messaggio questo il cercare e promuovere la bellezza e la speranza, senza false consolazioni, puntando su qualcosa di vero e autentico.
E un’altra lezione la fa sulle fotografie non fatte, che non ha voluto fare pur potendo:
“Giovanni Falcone morto, andai ad aspettare al pronto soccorso l’arrivo dell’autoambulanza ma nel posto sbagliato, la volevo perdere. Non feci neppure quella di Borsellino a pezzi davanti ai miei piedi e neanche Boris Giuliano. Era buttato per terra vicino alla cassa del bar ed era diventato piccolo piccolo. Ci dissero di no, che la mafia non doveva vederlo così. Avevano ragione.”
In un mondo che non si ferma davanti a niente pur di fare auditel e avere click, ecco che c’è chi il coraggio di fermarsi e dire no, certe cose non le faccio. Pudore, rispetto e autenticità.
Una fotografa vera che cattura la realtà senza scadere mai nel voyeurismo.
Si dovrebbe iniziare da qui a fare informazione nella maniera giusta.
Sotto trovate il video della mostra
Fotografare è far vedere ad altri la realtà che hai davanti agli occhi.
Ma si può scegliere, come ha dimostrato questa donna e fotografa coraggiosa. Scegliere di non mostrare alcune cose, perché l’ultimo ricordo non sia un ricordo di morte.
Non avevo mai sentito parlare di questa donna. Grazie per avermela fatta conoscere ed in modo così sentito ed appassionato.
Kia mi hai commosso veramente. Non so cosa dire. Neanche io conoscevo la Battaglia. L’ho scoperta nelle ultime settimane grazie alla fiction su Maltese e a diversi amici.
Sapevo che quel pezzo ti avrebbe colpito. Bellissime le riflessioni che hai fatto!